Zerocalcare e il fumetto tra realtà e finzione

10a edizione del Festival Komikazen

10a edizione del Festival Komikazen

Un mese fa, a Ravenna, si è tenuto Komikazen, Festival del fumetto di realtà che si ripete ogni autunno da 10 anni e che a ogni edizione propone incontri, workshop e mostre. Io ho assistito all’incontro con GipiRoberto Recchioni, seguito dall’intervista di Elettra Stramboulis, tra gli organizzatori del festival, a Eddie Campbell. Ne parlo solo ora perché di recente sono andata alla presentazione di Dimentica il mio nome, ultima fatica del fumettista Zerocalcare, che si è tenuta martedì 11 novembre alla Feltrinelli di Bologna Piazza Ravegnana e ho potuto così collegare alcuni dei temi trattati, nonostante la presentazione sia stata, ahimè, troppo corta perché Zerocalcare, sempre disponibile e generoso con il suo pubblico, doveva produrre circa 200 disegnetti per i suoi tenaci fan. Le folle che si creano per le presentazioni del fumettista romano e le file chilometriche per averne un autografo e un “disegnetto” sono diventate ormai proverbiali. Come ha detto una passante, incuriosita dalla folla, “è bello che uno che ha scritto un libro riesca a fare così tante persone.”

Zerocalcare, Dimentica il mio nome, Bao Publishing

Zerocalcare, Dimentica il mio nome, Bao Publishing

Ma perché Zerocalcare piace così tanto e raduna così tante persone? Forse perché chiunque può riconoscersi nelle sue storielle comiche che rappresentano situazioni di vita quotidiana, ma, allo stesso tempo può riconoscersi nelle sue angosce e paranoie. Il fumettista di Rebibbia, infatti, ha il merito di alternare la malinconia alle risate: il suo tratto distintivo è quello di raccontare situazioni quotidiane divertenti e di fare autoironia sulle proprie idiosincrasie, e di rappresentare allo stesso tempo un’angoscia e un senso di precarietà universali. Alcuni lo ritengono il portavoce della generazione nata negli anni ’80, anche se lui non gradisce affatto questa definizione e anzi, ritiene del tutto impossibile che gli episodi che racconta possano riassumere un’intera generazione. Tutto questo Zerocalcare lo fa, sia sul blog che nei suoi graphic novel, mettendosi in gioco in prima persona, partendo da se stesso, dai propri sentimenti e dalla propria realtà: gli amici, la famiglia, Rebibbia, che è il suo quartiere, i centri sociali, il punk, mescolando il tutto con elementi della cultura pop, dai cartoni animati alle serie tv, che lo accomunano a tutti i suoi coetanei.

Di sicuro Zerocalcare ha il merito di aver avvicinato al fumetto quella parte di pubblico che non ha mai letto fumetti, o ne ha letti pochi. E questo è un bene, ma può essere anche un male, perché il lettore finisce per fermarsi lì e ignorare che oltre a Zerocalcare c’è ovviamente l’universo intero, dai fumetti di genere a quelli “di realtà”. Io, per esempio, non sono mai stata troppo attratta dai fumetti, da piccola non ho mai letto Topolino né tantomeno i fumetti della Marvel, ma tuttalpiù mi facevo delle gran scorpacciate di Peanuts. In età adulta mi sono poi avvicinata al mondo dei graphic novel grazie al capolavoro Maus di Art Spiegelman.

Ma cosa vuol dire graphic novel? Ormai sembra che usare il termine fumetto sia un understatement e che rileghi un lavoro a una dimensione strettamente di genere. Da nerd, insomma. Al contrario, secondo Gipi, uno degli ospiti di Komikazen, in italiano il termine per parlare di graphic novel esiste: è fumetto, ed è un termine del tutto rispettabile. La differenza è che un graphic novel si smarca dalla dimensione seriale tipica del fumetto per diventare un’unità narrativa più breve e compatta, proprio come un romanzo, ma con disegni e balloon. Con un termine perfettamente italiano, un romanzo a fumetti. Il primo fumettista a sentire il bisogno di questa forma espressiva fu Will Eisner e più tardi il concetto di graphic novel è stato sdoganato dal successo universale di Maus.

Eddie Campbell

Eddie Campbell

Un graphic novel, dunque, proprio come un romanzo, può essere di genere (un fantasy, per esempio), così come può essere “di realtà”, concetto che, tuttavia, Eddie Campbell, durante l’intervista a Komikazen, ha prontamente decostruito, in barba alla tagline del festival. Perché infatti, ogni volta che si racconta una storia, essa perde la propria realtà, se ce l’ha mai avuta, e diventa semplicemente affabulazione. Poco importa se la materia trattata è la propria vita o quella altrui, come nel caso di Alec, la semi-autobiografia di Campbell in ben sette volumi. Una volta su carta, insomma, una storia è una storia, e quello che importa davvero è lo scopo di intrattenimento della letteratura, la capacità di far ridere o piangere e di rappresentare i sentimenti e l’universo umano.

La forza dell’ultimo fumetto di Zerocalcare sta proprio in questo: l’autore parte da se stesso e da una storia che riguarda la sua famiglia per mettere nero su bianco (e arancione) una storia che – poco importa in quanta parte sia reale – è capace di intrattenere e far ridere e piangere i lettori. Ne risulta un racconto estremamente compatto ed equilibrato, che passa con garbo dai momenti comici a quelli dolorosi, senza sfociare mai nel patetico. In questo ultimo lavoro, Zerocalcare ha dimostrato di saper creare un buon meccanismo narrativo, e ha raggiunto una perfetta sintesi tra la narrazione pura di Un polpo alla gola e la fiction di genere di Dodici e gli “stacchetti” comici che, con La profezia dell’armadillo e il blog l’hanno reso caro al grande pubblico. Ha inoltre affrontato un’ulteriore sfida, quella di raccontare il dolore della madre: infatti, un conto è raccontare i propri sentimenti, e in quel caso sa bene dove “mettere l’asticella”, altra questione è raccontare i sentimenti di una persona vicina. Durante la lunga gestazione di Dimentica il mio nome, che tratta di una storia di famiglia che riguarda la nonna materna, si è necessariamente confrontato con la madre, per sapere fino a che punto poteva spingersi, e lei gli ha dato piena libertà, raccomandandosi saggiamente di non chiarire cosa è vero e cosa no. In fondo, cosa importa sapere cosa è reale e cosa è inventato, se la storia funziona? Ecco allora che in una storia a sfondo autobiografico come Dimentica il mio nome compaiono volpi parlanti, e che in un fumetto che parla dell’olocausto (Maus) gli ebrei sono topi e i nazisti gatti. Perché qualsiasi elemento surreale diventa funzionale al racconto e a quello che l’autore voleva dire.

Il lavoro di Gipi, altro ospite di Komikazen e candidato al premio Strega 2014 con Una storia, si può paragonare a quello di Zerocalcare. Anche lui parte da elementi autobiografici, ma alla fine prende sempre le distanze da sé, tanto da non riconoscere più se stesso nelle storie che scrive e illustra. Perché il sé che diamo in pasto al pubblico non può essere un vero autoritratto, altrimenti si rischia di creare una caricatura. Ancora una volta, l’importante per Gipi è raccontare una storia che funzioni, e una storia funziona se l’autore parte dall’umanità che conosce, proprio come nel caso di Dylan Dog, come ricorda il suo attuale curatore Roberto Recchioni, che pur appartenendo al genere horror parla di un’umanità estremamente reale.