È così che la perdi. Nove racconti su amore, sesso e immigrazione

Junot Díaz, È così che la perdi, Mondadori

Junot Díaz, È così che la perdi, Mondadori

Eccomi tornata con i consigli della (ex) libraia. Anche se personalmente non amo molto leggere racconti, oggi vorrei proporre proprio una raccolta di short stories, È così che la perdi, di Junot Díaz, dominicano naturalizzato statunitense. Scrivere short stories è un’arte difficilissima, che non tutti gli scrittori sanno dominare. Non è semplice, infatti, riuscire in poche pagine a sviluppare il nucleo di una storia e delineare e caratterizzare in modo efficace dei personaggi. Non è un caso che i più rinomati autori di questo genere si siano quasi sempre limitati a esso, come Raymond Carver e George Saunders, considerati maestri del racconto.

È così che la perdi (This Is How You Lose Her, Riverhead Books), edito nel 2013 dalla Mondadori con la traduzione dall’inglese di Silvia Pareschi, raccoglie nove racconti che ruotano attorno allo stesso personaggio, Yunior, forse alter ego dell’autore, dominicano immigrato con la famiglia negli Stati Uniti.

I racconti parlano di sesso, amore, disamore e tradimenti, e la tematica che funge da filo rosso è l’immigrazione: la scoperta di un mondo nuovo, gli Stati Uniti, con il suo fascino e la sua ostilità, e la nostalgia per la Repubblica Dominicana, il paese d’origine “al quale non pensi mai finché non lo hai perduto, che non riesci ad amare finché non lo hai abbandonato.” L’altra tematica dominante è il machismo, che il personaggio di Yunior, al pari del fratello Rafa, si porta dietro come una tara, ereditata dal padre che ha sempre tradito la moglie fino a quando ha definitivamente abbandonato la famiglia.

Junot Díaz

Junot Díaz

Ciò che trapela maggiormente da queste pagine è la nostalgia. I personaggi di questi racconti portano tutti un fardello di nostalgia, per la terra e la famiglia che hanno lasciato, oppure per l’infanzia e l’adolescenza, come nel caso di Yunior, il personaggio ricorrente che nei diversi racconti rammenta diverse epoche della sua vita. Sembra che l’autore stia facendo i conti con il suo passato, tentando un dialogo con l’alter ego Yunior, ora bambino appena arrivato negli Stati Uniti, ora adolescente che affronta la malattia terminale del fratello, ora giovane adulto alle prese con situazioni sentimentali disastrose, incapace di scollarsi di dosso l’etichetta di sucio – stronzo. Per dar vita a questo dialogo interiore, Diaz usa talvolta una tecnica narrativa non molto sfruttata: si rivolge a se stesso usando la seconda persona singolare, come se stesse parlando davanti a uno specchio, forse nell’estremo tentativo di dissociarsi dal dolore che prova:

“Your brother. Dead now a year and sometimes you still feel a fulgurating sadness over it even though he really was a super asshole in the end.” (p. 149)

Le pagine più belle di questo libro sono quelle in cui l’autore parla della vita degli immigrati, della difficoltà ad abituarsi a un paese così diverso e spesso ostile, del duro lavoro e delle piccole soddisfazioni della vita.

Uno dei racconti che mi è piaciuto di più è Invierno, dove l’immigrazione è vista attraverso gli occhi di un bambino, il piccolo Yunior, che si ritrova a passare il suo primo inverno nel freddo New Jersey e deve ambientarsi in un mondo del tutto diverso da quello in cui viveva, per clima, abitudini e lingua. Yunior deve imparare a conoscere un padre che fino a quel momento per lui era stato un estraneo e deve fare i conti con la noia e la solitudine, dovute alla difficoltà di integrarsi, ma soprattutto alla severità del padre che costringe i figli a stare chiusi in casa senza altro svago che la televisione.

L’altro mio racconto preferito è Otra vida, otra vez, dove Yunior lascia il posto a un’altra protagonista, una donna dominicana addetta alla lavanderia di un ospedale, che ha una relazione con un compaesano che ha un’altra famiglia sull’”Isola”.

La lingua di Díaz è tagliente ed estremamente realistica. Le descrizioni sono ridotte all’osso, e anche quando ci sono, sono crude e carnali. Il linguaggio è molto colloquiale, talvolta sgrammaticato, ed è impregnato di lessico spagnolo, che Silvia Pareschi ha giustamente mantenuto nella traduzione italiana.

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